Equo compenso: i dubbi di ANAC mettono a rischio il futuro della professione

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La legge n. 49 del 21 aprile 2023, avente ad oggetto il cd. “equo compenso” si è resa necessaria per tutelare i liberi professionisti nei confronti dei “poteri forti” (imprese bancarie, assicurative, grandi aziende, nonché pubblica amministrazione e società a partecipazione pubblica) stabilendo che la remunerazione percepita da un professionista per il servizio reso deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti. Nel nostro Paese, infatti, il sistema consentiva il lavoro professionale gratuito e la pubblicazione di bandi di gara per i servizi di ingegneria e architettura con una base d’asta di un euro. Un approccio così miope ai servizi professionali ha generato un ritardo enorme nella realizzazione delle opere pubbliche e alimentato un perenne contenzioso tra stazioni appaltanti e operatori economici.

Nel 2023, tuttavia, il legislatore ha posto fine all’annosa questione con due provvedimenti chiari ed inequivocabili: la citata legge n. 49/23 e il nuovo Codice dei contratti pubblici che inserisce l’equo compenso tra i principi della novellata disciplina (art. 8 del D.lgs. n. 36/23).

Il TAR Veneto con sentenza del 3 aprile 2024, n. 632, fugando qualsiasi dubbio interpretativo, ha stabilito che l’equo compenso è applicabile anche alle gare per servizi di architettura e ingegneria e che il compenso determinato dai parametri ministeriali non può essere ribassato, mentre le spese e gli oneri accessori possono essere ridotti.

Questa palese convergenza tra le norme di riferimento e l’interpretazione giurisprudenziale avrebbe dovuto chiudere definitivamente la questione ma, evidentemente, chi avversa l’equo compenso, non è per nulla arrendevole.

Il primo tentativo di destabilizzare il sistema, dopo la sentenza del TAR Veneto, è stato un emendamento, giustamente ritenuto inammissibile, presentato dai deputati Mauro D’Attis, Francesco Cannizzaro, Dieter Steger, Franco Manes, Silvia Roggiani e Andrea Gnassi, che avrebbe voluto intervenire sulla legge n. 49/2023.

Il secondo tentativo, invece, nasce nelle stanze di quell’Autorità Nazionale Anticorruzione che ha subito un notevole ridimensionamento delle proprie funzioni proprio con la riforma introdotta dal nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023). L’ ANAC, oggi, dovrebbe, infatti, occuparsi principalmente della vigilanza e del controllo sui contratti pubblici, con l’obiettivo di prevenire e contrastare illegalità e corruzione.

Invece, come abbiamo appreso dalle notizie stampa della scorsa settimana, sembra che l’ANAC si stia concentrando, più in generale, proprio sulla normativa dell’equo compenso.

L’ANAC ha, in particolare, dapprima convocato un tavolo sull’argomento, scegliendo arbitrariamente chi invitare, per poi inviare al Ministero dell’Economia e delle Finanze e al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti una nota fortemente critica sull’equo compenso. Sebbene non si conoscano gli eventuali esiti di questa parziale consultazione avviata dall’ANAC, alla quale i firmatari della presente non hanno preso parte, gli articoli di stampa della scorsa settimana sulla nota trasmessa ai Ministeri indicano una chiara chiusura dell’ANAC verso l’equo compenso che va a sconfessare due delle opzioni che la medesima Autorità aveva inserito nel bando tipo dei servizi di ingegneria e architettura andato in consultazione solamente tre mesi fa.

Le motivazioni espresse nella nota dell’ANAC, tra l’altro, oltre a non essere coerenti con le norme cogenti, sono legate ad una concezione della concorrenza, immanente al sistema, che il nuovo Codice dei contratti ha ampiamente superato. Il principio cardine su cui oggi ruotano gli affidamenti è, infatti, quello del risultato, a cui la concorrenza è meramente funzionale. L’affidamento diretto sino a 140.000 euro, che garantisce ai più giovani e ai professionisti meno strutturati l’accesso alla professione, non troverebbe alcun ostacolo nelle previsioni sull’equo compenso, grazie al meccanismo di rotazione. Mentre, per i servizi di ingegneria e architettura di maggior importo, la norma prevede l’aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ed è già possibile, ai sensi del comma 5 dell’art. 108 del nuovo Codice, limitare il confronto concorrenziale ai soli profili qualitativi delle offerte, azzerando il peso della componente di prezzo. Scelta quest’ultima che appare la più idonea a garantire un adeguato livello qualitativo dei servizi tecnici.

L’equo compenso, quindi, sia negli affidamenti diretti, sia nelle gare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa non altera la concorrenza né impedisce l’accesso al mercato dei giovani professionisti.

In merito ai maggiori costi da sostenere paventati dall’ANAC, ci limitiamo a due constatazioni. La prima, è che i costi delle prestazioni professionali sono già inseriti nei quadri economici delle Stazioni Appaltanti e che, quindi, hanno già una fonte di finanziamento che non subisce variazioni per l’applicazione dell’equo compenso. La seconda considerazione, emersa da uno studio indipendente condotto, dalla Fondazione Inarcassa, proprio sui dati pubblicati dall’ANAC è che la corsa ai ribassi sui servizi tecnici si traduce in un maggior costo delle opere pubbliche per varianti e prolungamento dei tempi di realizzazione dei lavori.

Auspicavamo che tutte queste evidenze, fossero già note agli stakeholder e che i tempi fossero maturi per ulteriori approdi, quali la revisione dei parametri ormai fermi da troppi anni. Siamo costretti, invece, a dover continuamente ribadire, anche alla stessa ANAC, che solamente l’equo compenso garantisce la qualità dei servizi professionali e dei servizi tecnici, a vantaggio della qualità progettuale e della sicurezza del patrimonio immobiliare pubblico e privato.

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