Equo compenso, Confprofessioni: sentenza del consiglio di stato, intervenga la politica

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Le critiche del presidente Stella alla sentenza del Consiglio di Stato che ammette le prestazioni professionali a titolo gratuito a favore della PA: necessario intervenire immediatamente cambiando il testo di legge approvato alla Camera.

Milano, 10 novembre 2021. «Una sentenza che definisce un quadro paradossale: il professionista ha diritto a un compenso equo, ma soltanto a condizione che venga pagato». È il commento a caldo del presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, alla sentenza del Consiglio di Stato legata a un bando del MEF del 2019. «È sconcertante che la stessa sentenza riconosca il diritto del professionista a essere pagato secondo il principio di equità, ma allo stesso tempo che tale principio divenga esigibile soltanto nel caso in cui il compenso sia effettivamente previsto».

«La sentenza», spiega Stella, «sembra uscita da un romanzo di Kafka, visto che, a parità di condizioni contrattuali, sancisce di fatto l’illegittimità delle prestazioni sottopagate e la contestuale liceità di compensi pari a zero. Una contraddizione che se può trovare qualche appiglio nella legislazione vigente, mette la politica di fronte alla necessità di intervenire al fine di garantire anche ai professionisti il diritto a ricevere compensi proporzionati alla qualità della prestazione resa».

«Assume quindi ancor più rilevanza», aggiunge il presidente di Confprofessioni «il lavoro che il Senato sarà chiamato a svolgere sulla proposta di legge recentemente approvata dalla Camera, correggendo le criticità che avevamo già evidenziato nelle scorse settimane; a cominciare dalla norma che in caso di affidamento di incarichi sotto soglia vedrebbe sanzionato il professionista sottopagato invece del committente inadempiente».

«Ci aspettiamo», conclude Stella, «che, attraverso l’applicazione del principio dell’equo compenso, possa finalmente superarsi la cattiva abitudine di richiedere prestazioni professionali a titolo gratuito, abitudine praticata soprattutto da alcune P.A., che evidentemente preferiscono far quadrare i conti non attraverso la riduzione selettiva degli sprechi, ma sfruttando il lavoro dei professionisti».